Storia, natura e gastronomia
La Via Salaria è una delle vie consolari costruite dagli antichi romani: va da Roma a Porto D’Ascoli sul Mare Adriatico; oggi è classificata come strada statale dal nome SS 4.
Il suo nome, a differenza di tutte le altre consolari che sono denominate per l’artefice della loro costruzione, deriva dall’essenziale utilizzo che se ne faceva: il trasporto del sale dai luoghi di produzione sul mare verso l’interno. Sul versante tirrenico, il sale veniva prodotto principalmente alla foce del Tevere, presso il Campus salinarum (saline) di Fiumicino e Maccarese. Da un tracciato di età protostorica, attraverso la sistemazione organica in epoca augustea, la strada giunge a noi, sviluppandosi per 226 km. La strada moderna si discosta solo in parte dalla romana che si avvaleva di opere edilizie come ponti, viadotti, terrazzamenti, muraglie. Le valli principali lungo cui la strada si snoda sono quella del Velino (versante tirrenico) e quella del Tronto (versante adriatico)
Percorrendo questa strada si potrà quindi attraversare il centro Italia per conoscerne luoghi e ambienti a volte dimenticati e che invece sono la vera Italia.
Rieti
Rieti (405 metri ) sorge in bella posizione lungo il fiume Velino, all’interno della conca reatina, sotto la grande mole del Terminillo. Ritenuta dagli autori dell’età classica il centro geografico d’Italia (Umbilicus Italiae) Rieti fu fondata all’inizio dell’età del ferro e divenne poi città della Sabina. Attraversata dalla via Salaria (importante collegamento tra Roma e l’Adriatico) sorgeva in posizione strategica e questo ne determinò la rapida crescita. Ben presto però i Sabini dovettero cedere il passo ai Romani, che dominarono la città, portando peraltro a termine opere importanti come la bonifica del Lacus Velinus. Il suo sviluppo continuò fino al medioevo quando divenne libero comune e città dei Papi. Del periodo medievale conserva l’impianto urbanistico del centro storico e i monumenti di maggior valore, tra cui il Duomo e il Palazzo vescovile insieme con il tratto residuo della cinta muraria, tra le meglio conservate del Lazio.
Cittaducale
Cittaducale (481 metri) fu fondata nel 1308 da re Carlo II d’Angiò, è appartenuta all’Abruzzo e alla provincia dell’Aquila per più di sei secoli, fino al passaggio nel Lazio avvenuto nel 1927. Ospita la Scuola nazionale per la formazione del Corpo forestale dello Stato, ora dei Carabinieri Forestali. Ricostruita in parte dopo il terremoto del 1703, la cittadina conserva però quasi intatto il suo carattere urbanistico basso-medioevale, con pianta ellittica modellata su quella del tradizionale Castrum Romanum: due strade perpendicolari che si incrociano dando luogo alla piazza centrale, chiamata Piazza del Popolo, attorno alla quale sono situati i principali edifici pubblici. Con le sue torri domina sulla valle del sottostante Velino e offre una bella vista sui monti circostanti tra cui il Terminillo (2.216 metri)
Le sorgenti del Peschiera. All’interno del territorio comunale si trovano le importanti sorgenti del Peschiera, le seconde in Italia per portata. L’acqua che ne sgorga confluisce in parte nel fiume Velino, e in parte nell’acquedotto del Peschiera, un’ardita opera di ingegneria idraulica, che la trasporta per 90 km fino a Roma, garantendo la quasi totalità dell’acqua necessaria alla capitale d’Italia.
Le terme di Vespasiano. Le antiche terme, ancora visibili nel territorio del comune di Cittaducale (località Caporio-Cesoni), sfruttavano sorgenti d’acqua le cui proprietà curative erano conosciute anche prima del periodo romano. In particolare si ricorda l’effetto terapeutico delle acque ghiacciate di Cotilia utilizzate sia per bere che per i bagni. Erano frequentate dall’imperatore Vespasiano che qui morì nel 79 d.C. Sono visibili lunghi tratti di muri in opus incertum, un vascone centrale, camere, un corridoio che conduce ad un nunfeo con fontane.
Antrodoco
Antrodoco, il cui nome significa “tra i monti”, è attraversato dal fiume Velino ed è circondato da tre gruppi montuosi: a nord-est si erge il Monte Giano (1820 m), a sud il Monte Nuria (1888 m) mentre a nord la Valle del Velino è sovrastata dal Monte Elefante (2089 m), facente parte del massiccio del monte Terminillo. Ad ovest invece la valle si allarga formando, superato Borgo Velino, la Piana di San Vittorino. Centro originariamente agricolo, è oggi una località di vileggiatura estiva e sede di una piccola stazione termale che utilizza due sorgenti di acqua sulfurea fredda usata per bagni e per bere, per curare malattie della pelle e dell’intestino.
Il paese è famoso per la sua tradizione pasticcera nella quale spiccano i “ciambelletti della sposa”, piccoli dolci simili ai taralli ricoperti di una glassa a base di albume; i ciambelletti al vino, con anice; la copeta, sfoglie composte di miele, noci e nocciole tritate e aromatizzate da foglie di alloro; le tisichelle, biscotti simili ai cantucci toscani; la pizza di cacao, una torta soffice; i pizzicotti, biscotti dalla forma irregolare con frutta secca e cioccolato. Antrodoco è anche famosa per il marrone antrodocano, una castagna Igp particolarmente pregiata raccolta nei boschi secolari della valle del Velino, usata per fare i marron glacè e protagonista dell’omonima sagra autunnale.
Le gole del Velino
Le gole del Velino (o di Sigillo), in provincia di Rieti – comuni di Antrodoco, Micigliano e Posta, sono nate dallo scorrere del fiume Velino. Comprese tra i siti di interesse comunitario del Lazio, sono state definite dal Touring Club italiano “forse la gola più selvaggia e suggestiva di tutto l’ Appennino”.
Le gole si allungano per 14 chilometri, tra pareti a precipizio e ambienti interessati da fenomeni carsici e numerose grotte. Oggi la SS 4 Via Salaria attraversa le gole con un viadotto. Già in epoca romana erano attraversate dalla Via Salaria, il cui passaggio ha lasciato profonde tracce nell’ambiente e ancora oggi sono visibili gli impegnativi interventi ingegneristici che in epoca antica furono portati avanti per facilitare il corso della strada.
Amatrice
Amatrice (955 metri) è edificata sullo sperone roccioso che sovrasta la confluenza tra il fiume Tronto e il Castellano. L’impianto urbanistico della cittadina può essere collocato precedentemente all’epoca rinascimentale, visto il disegno della pianta che si snoda su sette strade parallele curvilinee (caratteristica medievale) orientate lungo un asse est-ovest. La via principale più ampia è l’attuale Corso Umberto I, intersecata a croce da altre due strade. Non mancano altri accenni medievali in alcune chiese e tratti dell’abitato: prima fra tutti la monumentale torre civica che pur subendo nel tempo lavori successivi di innalzamento (1675) e consolidamento nei secoli successivi, è già menzionata nel 1293.
È patria del pittore e architetto Nicola Filotesio, detto Cola dell’Amatrice che ne avrebbe anche disegnato il centro storico. Il pittore fu molto operoso ad Ascoli Piceno ed in Abruzzo.
L’amatriciana. La tradizione gastronomica di Amatrice si fonda prevalentemente sul suo piatto simbolo: una ricetta dalle origini contadine a base di guanciale amatriciano e formaggio pecorino. Identificata ormai come primo piatto tipico anche della cucina romana e, in generale, laziale, è fra i piatti italiani più conosciuti e cucinati in assoluto. Il sugo veniva preparato dai pastori con gli ingredienti a loro disposizione sulle montagne quando seguivano le greggi nel periodo della transumanza. Usavano guanciale e pecorino, due ingredienti prodotti dagli allevatori di Amatrice, quindi originariamente l’Amatriciana era bianca. Solo successivamente fu aggiunto il pomodoro. La diffusione su scala nazionale del sugo all’amatriciana si ebbe nell’Ottocento quando molti amatriciani emigrarono a Roma a causa della crisi della pastorizia e, trovando occupazione nella ristorazione, fecero conoscere il piatto dei loro avi. Il primo storico ristorante amatriciano di Roma risale al 1860 e si chiamava Il Passetto, poiché attraverso il ristorante si poteva passare dal Vicolo del Passetto a Piazza Navona.
Conca amatriciana. Entrando nella vallata del Tronto si incontra la conca amatriciana, sovrastata ad est e a sud est dai Monti della Laga e disseminata di piccoli abitati molto vicini tra loro. La conca deve essere stata frequentata sin dall’età protostorica e ed è stata abitata continuativamente dall’epoca romana visto che era attraversata dalla Via salaria. All’epoca romana infatti risalgono resti di edifici e tombe rinvenute in diverse zone del territorio. Nella parte più depressa della conca si trova il lago artificiale dello Scanderello, nato dallo sbarramento del fiume Scanderello, affluente del Tronto
Accumuli
Il territorio del Comune di Accumoli (650/1800 metri), piccola cittadina della Provincia di Rieti che copre una superficie montana di Kmq 86,89, dal punto naturalistico, è tra i più rappresentativi e significativi dell’intero Appennino. Tutta l’area è inserita nel perimetro del Parco Nazionale del Gran Sasso e dei Monti della Laga, confina con il Parco Nazionale dei Sibillini ed è luogo dove la Comunità Europea ha individuato ben quattro siti di importanza strategica per la conservazione delle biodiversità. Attraversato dalla via consolare Salaria confina con le regioni Umbria, Marche ed Abruzzo e con il Comune di Amatrice.
Oasi WWF Lago Secco. Questa oasi WWF, di rilevante importanza a livello naturalistico, è un Sito d’Importanza Comunitaria e Zona di Protezione Speciale. L’area, di 15 ettari, è uno specchio d’acqua salvato dal WWF dove sopravvivono specie animali e vegetali relitte dall’epoca delle glaciazioni quaternarie. All’interno dell’area si trovano numerosi percorsi naturalistici, tra cui il Sentiero Italia; aree attrezzate; strutture ricettive; percorsi da sci da fondo invernale, e laghetti per la pesca sportiva.
Arquata del Tronto
Arquata del Tronto (580/2.476 metri) è l’unico comune d’ Europa compreso all’interno di due aree naturali protette: il Parco Nazionale del Gran Sasso e dei Monti della Laga a sud e il Parco Nazionale dei Monti Sbillini a nord. Confina con tre regioni (Lazio, Umbria e Abruzzo) ed è noto per la rocca medievale che sovrasta l’abitato. Il territorio è prevalentemente montuoso, ed è caratterizzato da pareti scoscese alternate a fitti boschi di castagno, faggio e conifere; da pendii e ampie balconate naturali, verdi campi e pascoli.
Questa è l’area del cosiddetto “versante magico” dei Sibillini, conosciuto per le sue leggende e storie fantastiche e animato da presenze misteriose. Su queste montagne vi erano gli antichi sentieri che conducevano alla Grotta della Sibilla, profetessa appenninica, e al Lago di Pilato, dove si crede sia sprofondato il carro condotto dai buoi che trasportava il corpo di Ponzio Pilato.
Acquasanta Terme
Acquasanta Terme (411 metri) si trova a 19 km di distanza da Ascoli Piceno, che si raggiunge continuando lungo la Via Salaria. Dopo Ascoli, possiede il territorio più esteso della provincia, in gran parte montuoso e costellato di frazioni.
Acquasanta Terme sorge nell’alta valle del fiume Tronto, incastonata fra i Sibillini a nord e i Monti della Laga a sud, ed è circondata da boschi di castagni plurisecolari, querce, faggi e abeti bianchi. Le montagne circostanti si raggiungono agevolmente attraverso numerose escursioni a piedi.
Terme. Come suggerisce il nome, Acquasanta possiede sorgenti sulfuree intorno alle quali sorgono stabilimenti termali con vasche naturali libere alimentate da acqua calda. Una di queste vasche riceve una quantità notevolissima di acqua e viene utilizzata come vasca natatoria. Le proprietà curative sono moltissime. Queste acque termali erano note fin dall’antichità per le loro proprietà curative: il luogo in epoca romana veniva chiamata Vicus ad Aquas.
Ascoli Piceno
Ascoli Piceno (154 metri) si trova su un terrazzo alluvionale, ai limiti dell’Appennino e a 25 chilometri dal mare Adriatico. Città di origine picena, divenuta poi la romana Asculum, presenta oggi un impianto medievale, basato su quello di epoca romana, arricchitosi nei secoli di edifici civili e religiosi di stile romanico, rinascimentale e barocco.
Il suo centro storico, il più esteso delle Marche, è costruito quasi interamente in travertino, una roccia sedimentaria calcarea estratta dalle cave del territorio, ed è tra i più ammirati della regione e del Centro Italia, in virtù della sua ricchezza artistica e architettonica. Conserva diverse torri gentilizie e campanarie e per questo è chiamata la Città delle cento torri. La rinascimentale Piazza del Popolo è considerata tra le più belle piazze d’Italia: qui si trovano alcuni degli edifici più importanti tra i quali il Palazzo dei Capitani, lo storico Caffè Meletti e la Chiesa di San Francesco. Piazza Arringo è invece la piazza più antica di Ascoli sulla quale si affacciano il medioevale Battistero di San Giovanni, la Cattedrale di Sant’Emidio con la sua cripta; il Palazzo Vescovile e il Palazzo dell’Arengo, sede della Pinacoteca civica.
Arte pittorica ascolana. Con l’arrivo dal Veneto di Carlo Crivelli (XV secolo) nacque un movimento artistico che poi interessò quasi tutta la regione Marche con i seguaci di Carlo: Vittore Crivelli, Pietro Alemanno e specialmente Cola dell’Amatrice (Nicola Filotesio) artista e architetto di talento, che da crivellesco divenne poi seguace di Signorelli e di Michelangelo, lasciando ad Ascoli numerose tracce architettniche di carattere rinascimentale. Opere di Carlo Crivelli si trovano opere nella Pinacoteca civica, nella Cattedrale di Sant’Emidio e nel Museo diocesano.
La Quintana. Ogni anno, dal 1955, si svolge la celebre Quintana, torneo cavalleresco che si disputa nel periodo estivo, in due tempi. Ogni torneo è preceduto e seguito da affascinanti cortei con circa millequattrocento figuranti con costumi d’epoca. La manifestazione è basata su antichi statuti che risalgono a XIV secolo.
Olive all’ascolana. La città è anche conosciuta per questa famosa specialità gastronomica nata ad Ascoli Piceno e conosciuta ed apprezzata nel territorio italiano e anche all’estero. Le olive verdi in salamoia, farcite con un composto tenero a base di carne. vengono generalmente servite a tavola assieme ad altri prodotti fritti. La nascita della ricetta delle olive all’ascolana ripiene e fritte risale all’anno 1800. Secondo alcune ricerche storiche, al tempo, i cuochi che prestavano servizio presso le famiglie della locale nobiltà inventarono il ripieno delle olive per consumare le notevoli quantità e varietà di carni, provenienti dalle terre di proprietà, che avevano a disposizione.
Anisetta Meletti. Il liquore, assolutamente naturale, deriva dalla distillazione in alambicco discontinuo di semi di anice e altre spezie aromatiche che esaltano la freschezza dell’anice verde mediterraneo ed è prodotto secondo l’originale ricetta creata nel lontano 1870 dal Cav. Silvio Meletti. La famiglia Meletti custodisce ancora oggi la ricetta originale di questa tipica specialità marchigiana di rinomanza mondiale